Comune di Averara

Prima della realizzazione della Strada Priula nella valle del Mezzoldo si ha ragione di ritenere che gran parte del traffico di merci e di persone fra i versanti transorobici passasse per la Valle Averara. Di tali flussi resta come significativa memoria in Averara il portico ‘commerciale’ nel centro storico dell’abitato, come la dogana e tratti di selciato originale. Se per il tratto a monte del capoluogo è stato possibile risalire facilmente e rispettare il tracciato documentato storicamente, almeno fino ai piedi della diga di Val Mora, non così è stato per il tratto da Olmo al Brembo ad Averara per il quale si è optato per un sentiero CAI segnalato con il numero 105 B e accessibile a condizione di porre rimedio ad alcuni brevi tratti esposti (segnalati nella relativa tavola 8) e non sicuri. Occorre precisare che il percorso in Val Mora è diviso con il Comune di Santa Brigida: il tratto dal ponte di Caprile al Ponte dell’Acqua in sponda destra del torrente Mora è in questo comune; i tratti, su carrozzabile dal capoluogo Averara al ponte di Caprile e, su sentieri, dal Ponte dell’Acqua alla Diga di Val Mora sono in territorio di Averara. L’esposizione, a seguire, rispetta tale ripartizione. Il sentiero della Val Mora è indicato come CAI 110.

Tracciato Storico

Itinerario escursionistico

Difficoltà:
Lunghezza percorso: 3650m
Dislivello: 180m
Tempo di percorrenza: 1:15
Note: "Segnaletica: placche metalliche CAI 129 B, segnavia CAI 110*.
Connessioni con trasporto pubblico: Averara.
Ricettività: Averara.
Altri percorsi escursionistici convergenti: diramazioni locali per il Rifugio Cantedoldo; connessione ad Averara con la Via del Ferro a Santa Brigida (sentiero 105); sentiero 105 per Cusio; sentieri locali dell’iniziativa Alto Brembo. "
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La Valle

Si tratta del primo nucleo che s’incontra entrando nel territorio di Averara. Si notano antichi edifici di solida struttura: alcuni di essi raggiungono un’altezza di quattro piani fuori terra, più il solaio. I vari livelli sono collegati da scale esterne rette da un impalcato ligneo che comprende anche i ballatoi.

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Casa Bottagisi

A questo caratteristico edificio che si affaccia sulla Via Mercatorum è stata attribuita la funzione di “dogana veneta”. Vari elementi caratteristici ne fanno un notevole punto di riferimento nella storia della vallata per le sue specifiche forme architettoniche. L’edificio fu probabilmente costruito nel Cinquecento, inglobando un altro più piccolo preesistente, forse in seguito alla necessità di realizzare nuovi spazi per accogliere uomini e funzioni. La facciata presenta, sopra le ampie arcate di base, due avancorpi laterali in muratura che racchiudono un ampio spazio entro il quale spiccano le splendide scale in legno, la cui costruzione risale probabilmente a un’epoca posteriore all’erezione dell’edificio. Un vero tripudio di scale, sapientemente ed elegantemente strutturate per raggiungere i tre piani della casa con una formazione a ventaglio che pone al centro i tre pianerottoli dai quali si dipartono le rampe disposte simmetricamente ai due lati. L’edificio fu realizzato in almeno tre fasi, di cui la seconda finalizzata a dotarlo di un ampio portico probabilmente asservito a funzioni commerciali (https://www.visitbrembo.it/it/dove-andare/poi/casa-bottagisi)

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Redivo.

Chiesa di San Pantaleone. Lungo l’antica via Mercatorum, su uno sperone prativo e panoramico della frazione Redivo di Averara, dove ebbe sede per secoli il Vicario veneto, sorse fin dal secolo XIII un oratorio dedicato a San Pantaleone, il santo medico di Nicomedia in Bitinia, protettore contro le malattie. La festa si celebra da allora, ancor oggi, il 27 luglio. L’edificio fu ricostruito nel ‘400 in stile romanico-gotico locale, ad aula semplice e presbiterio quadrato, ornato alle pareti e sulle facciate da affreschi di cui si possono vedere ancora dei lacerti e con uno snello campanile che dalle monofore alle trifore, dà senso di slancio. Sul campanile possiede le più antiche campane della valle, del 1496 e del 1502, affiancate dal 1954 da una terza. La chiesa fu consacrata nel 1488 dall’arcivescovo milanese Rolando dei conti di Rovellasca. Nella seconda metà del ‘600 venne allungata ed innalzata come nell’attuale situazione. All’interno, nella solenne ancona marmorea sul presbiterio si può ammirare una tela di Andrea Michieli, detto il Vicentino (1567-1617), discepolo del Tintoretto, con San Pantaleone e i santi Francesco e Carlo. Importante opera d’intaglio e d’intarsio è il coro del presbiterio, firmata e datata da Pietro Milesi, nel 1706. Del 1800 è l’affresco sulla volta del presbiterio che rappresenta la decollazione di San Pantaleone (https://www.visitbrembo.it/it/dove-andare/poi/antica-chiesa-di-san-pantaleone-a-redivo).

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Averara e la Torre della Fontana

Dalla torre si gode un’ampia veduta della sottostante Averara. I primi documenti che attestano l’esistenza del borgo risalgono a un testo scritto nell’anno 917, in assoluto il testo più antico per ciò che concerne l’alta valle Brembana, tanto da far credere che con il toponimo si intendesse anche tutta la zona circostante*. È usanza comune credere che tuttavia i primi insediamenti stabili in questa zona siano riconducibili all’epoca delle invasioni barbariche, quando le popolazioni soggette alle scorrerie si rifugiarono in luoghi remoti, al riparo dall’impeto delle orde conquistatrici. Si presume che esuli della vicina Valsassina colonizzassero (presumibilmente attorno al VI secolo) il territorio di Averara. Sulla via verso la Valtellina e terra di confine, Averara nel Medioevo era dotata di una dogana e di tre torri. Una fase di decadenza si ebbe con la costruzione della Strada Priula che deviò a Mezzoldo parte dei traffici. I resti della torre della Fontana e di quella sopra la Corna testimoniano del ruolo importante che Averara ricopriva nel medioevo nel contesto dell’alta Valle Brembana.
Due torri sono collocate in posizione strategica: una lungo la Via Mercatorum, in prossimità del fortilizio che sorgeva nella contrada Castello, l’altra sulla sommità di uno sperone roccioso che consentiva il controllo della vallata e della strada che saliva a Santa Brigida, ben visibile anche dalla prima. Facevano parte di un sistema di avvistamento che si basava, oltre che sull’edificio fortificato del Castello, anche su un’altra torre, demolita nel Settecento, eretta forse nella zona bassa di Averara. La costruzione delle due torri risale al XIII-XIV secolo, all’epoca delle lotte guelfo-ghibelline. Dopo il passaggio della Valle Averara alla dominazione veneta, gli amministratori locali ottennero di mantenere il diritto di custodire essi stessi le torri fortificate presenti sul territorio, scongiurando così la presenza di presidi militari. Le torri rimasero attive anche nei secoli successivi, almeno fino al Settecento: nel dipinto seicentesco conservato nella parrocchiale di Averara la torre della Fontana è raffigurata integra, coperta da un tetto a spioventi, con una porta sul lato ovest e finestre ai piani superiori.

* NOTA AGGIUNTIVA DEL CENTRO STORICO CULTURALE FELICE RICEPUTI –
Quella che si riteneva la prima citazione del toponimo Averara, risalente all’anno 917, non ha un riscontro documentario, essendo frutto dell’errata lettura di una pergamena di quell’anno, che interpretava come de abraria la forma de cabraria, relativa a tutt’altra località. (Cfr. G. Medolago, La parrocchia di San Giovanni Battista della Valle dell’Olmo in Mezzoldo, in “Mezzoldo in Valle Lulmi”, 2006, pag. 211, nota 8. Il documento, citato dal Mazzi nella sua Corografia bergomense dei
secoli VIII, IX e X, Bergamo, 1880, fu trascritto nel Codex Diplomaticus Langobardiae, tomo XIII, col. 815. La pergamena è in ACVBg., Pergamene capitolari, perg. n. 4317)
Per trovare la prima citazione del toponimo bisogna invece attendere oltre due secoli e mezzo, quando troviamo la citazione “In casa filiorum Girardi de avrera”, cioè nella casa dei figli di Girardo di Averara in un atto redatto su una pergamena il giorno 1 agosto 1181 e conservato nell’Archivio della Curia Vescovile di Bergamo. (ACVBg., Pergamene capitolari, perg. 2392. Anche questo documento è citato dal Mazzi nella sua Corografia bergomense.)

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Portico di Averara.

Una delle icone più note dell’intera Valle Brembana, esempio quasi incorrotto di un ambiente mercantile che ha attraversato i secoli. La strada porticata di Averara si mostra in tutta la sua lunghezza con gli archi della galleria, le finestre ornate a ‘trompe’, il grande stemma centrale. Ma tutto, anche le vòlte interne, era un tempo decorato. Qui, a fianco del rude selciato e delle due strisce carraie, si aprivano le botteghe dei mercanti e dei pittori, le osterie, le taverne, gli alloggi. Il cammino era obbligato per tutti (la via esterna sottostante non esisteva), da un ingresso all’altro della via, non senza recare omaggio al tabernacolo sacro. Ora c’è silenzio, rotto solo dal fragore del torrente. Il tempo è passato, i traffici hanno preso altre vie.

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Chiesa di San Giacomo

Nei “Privilegi” concessi da Venezia ad Averara nel 1443, si trova il permesso al comune di spendere parte del censo per la chiesa. Il primo edificio fu consacrato nel 1468 dal vescovo Paolo Nicopolitano di Milano, essendo la Valle Averara diocesi di Milano, la chiesa venne poi eretta in parrocchia da San Carlo Borromeo, qui in visita pastorale, il 23 ottobre 1566. La chiesa in origine era completamente affrescata alle pareti, lungo le facciate e sotto l’alto portico, dove ancora oggi ammiriamo segni degli antichi e artistici affreschi dei locali frescanti, tra cui i famosi Baschenis e notiamo il segno della grandezza dell’antica chiesa, ingrandita tra il 1713 e il 1732. Molto decorativo il portale in marmo “lumachelle” di Mezzoldo, sormontato da antico affresco raffigurante San Giacomo. La parrocchiale fu riconsacrata il 2 agosto 1901 dal vescovo Gaetano Guindani. Tra le opere d’arte, la pala della Vergine in trono con le sante Apollonia, Anastasia, Caterina e Lucia, opera di Gian Battista Guarinoni del 1576, la pala dell’Assunta, sopra la porta per la chiesetta, opera di Lucano Gagio d’Imola, aiutante del Lotto, del primo ‘500. La pala centrale di San Giacomo, opera di Anzolo Lion del 1621, le due tele a lato, con San Giuseppe e l’Angelo con bambino, opera di Marziale Carpinoni. Di stile veneto del primo ‘600 la pala che rappresenta gli angeli con Cristo morto e i santi Francesco e Carlo Borromeo, assai interessante storicamente perché vi è raffigurato l’antico nucleo di Averara con la via porticata e la torre di guardia. Veri capolavori d’arte locale, gli arredi in legno. Gli stalli del coro e l’inginocchiatoio, opere per intarsio di Antonio Rovelli di Cusio e per intaglio di Antonio Lozza di Bergamo, realizzate nel 1690-92, con successivo intervento nel 1722 di Gio. Paolo Caniana. Degli stessi autori il banco dei parati e degli arredi del 1692, dietro il quale, da scomparti apribili, si possono ammirare antichi affreschi del presbiterio. Il pulpito è altra stupenda opera di intaglio e di intarsio di Antonio Rovelli del 1696, come il grande credenzone in sacrestia. L’organo è un Serassi di fine ‘700, rifatto da Prospero Foglia nel 1844. Da annotare infine l’affresco esterno raffigurante la Torre della Sapienza (1446), originale schema mnemonico con istruzioni dottrinali e catechistiche. (https://www.visitbrembo.it/it/dove-andare/poi/chiesa-parrocchiale-di-s-giacomo-maggiore-5BvsTRDjXP-it).

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Santella in Val Mora

Edicola sacra di modesta fattura eretta dalla famiglia Lazzaroni nel 1880; nella nicchia affresco della Madonna del Sacro Cuore; ai lati figure di santi.

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Chiesa di San Rocco a Lavaggio

Collocata su un dosso in posizione isolata e dominante la valle del Mora, è documentata già nel 1588 come oratorio intitolato al protettore dalla peste. Dall’archivio parrocchiale di Averara si hanno notizie di Ambrogio Rovelli – della dinastia dei Rovelli di Cusio – che nel 1710 fece “il telaio per la mezzaluna del coro” e della stirpe dei Bianchi – pittori di origine comasca – che all’inizio del Settecento si trasferiscono ad Averara e lavorano per la chiesa parrocchiale e per l’Oratorio di San Rocco fino al 1796. Tra i beni della chiesa risultano un affresco strappato raffigurante la Madonna con Bambino del ‘400, un affresco murale del ‘500, la pala d’altare del 1632 con S. Rocco, S. Nicola da Tolentino, S. Antonio da Padova e S. Sebastiano e un Crocifisso del ‘700 in legno dipinto.

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Cascata del torrente Mora

Salto d’acqua di una ventina di metri del Torrente Mora poco a valle del pianoro della diga, ben visibile dal sentiero della Via Mercatorum.

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Passo di Verrobbio

Denominato “buchéta de Bumìgn” sul versante valtellinese, e “pàs de Véròbi” su quello bergamasco. In prossimità del valico si trovano trincee ed appostamenti militari risalenti alla Prima Guerra Mondiale. Vi si trovano numerosi resti delle opere militari costruite durante la Prima Guerra Mondiale, quando si temeva che un eventuale sfondamento degli Austriaci sul fronte dello Stelvio o un’invasione della neutrale Svizzera avrebbe fatto del crinale orobico un fronte di importanza strategica. Perlustrando l’ampia sella del passo, si notano i resti dei camminamenti, degli edifici fortificati ed anche di una vera e propria grotta scavata nella roccia (lato est del passo), con feritoie per scrutare la valle di Bomino. Troviamo poi nei pressi del passo una pozza d’acqua e poco sotto un laghetto (laghetto di Verrobbio). L’importanza storica di questo passo ha radici antiche. Fino al 1593, anno dell’apertura della celebre via Priula, il passo di Verrobbio fu forse il più importante valico orobico, perché di qui passava l’importantissima via commerciale che da Bergamo (cioè, di molto prima del 1428, dalla Serenissima Repubblica di Venezia) si portava alla Valtellina ed ai paesi di lingua germanica, al nord. Una via assai frequentata nel Medio Evo, chiamata, con nome latino, “Via Mercatorum”, via dei mercanti. Alla fine del Cinquecento la più comoda Via Priula soppiantò la Via Mercatorum, che però non ha perso il suo fascino storico (cfr. M. Dal Cas).